di Martina Pugliesi
Il 23 aprile si celebra san Giorgio, il santo che rappresenta quasi per antonomasia l’ideale cavalleresco. Nonostante il suo culto sia molto diffuso e antichissimo – è infatti attestato sin dal sec. IV – le notizie biografiche sono piuttosto incerte.
La prima fonte a riferire notizie sulla vita del santo è la Passio sancti Georgii, antichissima, ma classificata tra le opere apocrife già dal Decretum Gelasianum (496). Secondo la Passio, Giorgio sarebbe nato in Cappadocia intorno all’anno 280 e sarebbe stato educato alla religione cristiana. Divenuto soldato, avrebbe subito il martirio sotto Diocleziano dopo aver professato la propria fede dinanzi a tutta la corte. L’imperatore lo avrebbe infatti sottoposto a numerose torture, tra le quali l’essere tagliato in due da una ruota piena di chiodi e spade. Il santo sarebbe morto e resuscitato per ben tre volte e. al contempo, avrebbe anche resuscitato due persone morte da 460 anni su richiesta di re Tranquillino. Infine, sarebbe deceduto il 23 aprile del 303 dopo essere stato decapitato.
Fino al sec. XI, fu questa la tradizione che prevalse e, di fatto, non si trova traccia del drago neanche nell’iconografia. San Giorgio era infatti solitamente rappresentato come soldato-martire intento a trafiggere un uomo, simbolo del persecutore pagano e dell’eresia.
La leggenda che lo vede protagonista dell’uccisione del drago si diffuse nell’epoca delle Crociate, più precisamente ai tempi della battaglia di Antiochia. Nell’anno 1098, durante una delle più furiose battaglie tra cristiani e infedeli, i cavalieri crociati e i condottieri inglesi vennero soccorsi dai genovesi, i quali ribaltarono l’esito dello scontro e consentirono la presa della città, ritenuta inespugnabile. Secondo la leggenda, il martire sarebbe apparso ai combattenti cristiani, accompagnato da splendide e sfolgoranti creature celesti con bandiere sulle quali campeggiavano croci rosse in campo bianco. Questo racconto contribuì alla diffusione del culto di san Giorgio, unitamente al celebre episodio della leggenda originata probabilmente da un’errata interpretazione di un’immagine dell’Imperatore Costantino, trovata a Costantinopoli, che schiacciava con il piede un enorme drago, simbolo della lotta del bene contro il male. Da lì pare che la leggenda sia poi passata in Egitto, dove vennero intitolate al martire Giorgio molte chiese, per trovare larga rappresentazione nell’iconografia medievale. Ma la vera consacrazione giunse, probabilmente, con la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, frate domenicano e vescovo di Genova. Compilata nella seconda metà del Duecento, fu una delle opere agiografiche di maggior diffusione: tra le vite dei santi, è riportata anche quella di san Giorgio e, nella fattispecie, l’episodio del drago:
«Si narra che in una città chiamata Silena, in Libia, vi fosse un grande stagno, tale da poter nascondere un drago, che, avvicinandosi alla città, uccideva con il fiato tutte le persone che incontrava. Gli abitanti gli offrivano per placarlo due pecore al giorno ma, quando queste cominciarono a scarseggiare, furono costretti a offrirgli una pecora e un giovane tirato a sorte. Un giorno fu estratta la giovane figlia del re. Il re, terrorizzato, offrì il suo patrimonio e metà del regno per salvarle la vita, ma la popolazione si ribellò, avendo visto morire tanti suoi figli. Dopo otto giorni di tentativi, il re alla fine dovette cedere e la giovane si avviò verso il lago per essere offerta al drago. In quel momento passò di lì il giovane cavaliere Giorgio, il quale, saputo dell’imminente sacrificio, tranquillizzò la principessa, promettendole il suo intervento per evitarle la brutale morte. Poi disse alla principessa di non aver timore, che l’avrebbe aiutata nel nome di Cristo. Quando il drago si avvicinò, Giorgio salì a cavallo e protettosi con la croce e raccomandandosi al Signore, con grande audacia affrontò il drago che gli veniva incontro, ferendolo gravemente con la lancia e lo gettò a terra, disse quindi alla ragazza di avvolgere la sua cintura al collo del drago, il quale prese a seguirla docilmente verso la città. Gli abitanti erano atterriti nel vedere il drago avvicinarsi, ma Giorgio li tranquillizzò, dicendo loro di non aver timore poiché «Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago: se abbraccerete la fede in Cristo, riceverete il battesimo e io ucciderò il mostro». Allora il re e la popolazione si convertirono e il cavaliere uccise il drago e lo fece portare fuori dalla città, trascinato da quattro paia di buoi». [Jacopo da Varazze, Legenda Aurea, Einaudi, Torino 1995]
Nel Medioevo, la lotta tra san Giorgio e il drago diviene dunque simbolo dell’eterna lotta del bene contro il male in cui il mostro, in particolare, è l’incarnazione del paganesimo. Non è dunque un caso che il santo sia divenuto patrono di numerosi ordini cavallereschi: Riccardo Cuor di Leone è il primo a invocare il martire come protettore dei combattenti. L’iconografia diede dunque largo spazio alla rappresentazione dell’episodio chiave della vita di san Giorgio.
In Casanatense, all’interno del fondo manoscritti, abbiamo due piccole miniature che testimoniano la diffusione della leggenda.
La prima si trova in un Messale, il ms.1906 della seconda metà del Quattrocento. Come testimonia una nota di possesso riportata su una carta di guardia, alla data del 19 gennaio del 1536 il codice apparteneva a Mario Maffei (1436-1537), esponente della casata del ramo dei Volterra, il cui stemma compare alle cc. 8r e 127v. Il manoscritto tuttavia è ascrivibile ad un’epoca antecedente: sotto lo stemma Maffei, infatti, osservando con la lampada di wood, sono visibili tracce di un blasone precedente. Esso appartiene al prelato francese Guglielmo d’Estouteville (1412-1483), nominato cardinale nel 1439 con il titolo di S. Martino ai Monti, che visse molto tempo a Roma e che, nel corso della sua vita, aveva raccolto una cospicua collezione libraria. Il Messale fu probabilmente venduto da Estouteville a Mario Maffei o forse, a suo padre Gerardo e, con ogni probabilità, fu poi donato al card. Casanate.
Membranaceo, vergato in scrittura gotica italiana del sec. XV da un’unica mano, il codice è riccamente decorato. Tra le iniziali istoriate, a c.191r è presente una “P” al cui interno è raffigurato san Giorgio a cavallo, nell’atto di uccidere il drago con la propria lancia, alla cui estremità si nota la tipica bandiera dallo sfondo bianco con croce rossa.
Più conforme forse all’immaginario medievale è invece la miniatura presente in un altro Messale, il ms.1909. A c. 250r all’interno di una lettera istoriata “P” di colore blu su fondo oro, è raffigurato il santo ancora una volta nell’atto di uccidere il drago. Sebbene la scena non si discosti di molto per la tematica da quella del ms.1906, in questo Messale essa assume una maggiore dinamicità data dal movimento del cavallo che, preso dalla foga, si scaglia anch’esso contro il drago che giace ai suoi piedi. San Giorgio è qui raffigurato a tutti gli effetti come un cavaliere, dotato di armatura ma senza nimbo – presente invece nel ms.1906 – ma alla lancia si aggiunge lo scudo, sul quale è riportata la tipica croce rossa su sfondo bianco. Ciò che forse salta subito all’occhio è la presenza di una donna, la principessa appunto, invece assente nell’altra miniatura. Insomma, qui la figura di San Giorgio incarna perfettamente l’idea del cavaliere che salva una principessa dal drago, che ci arriva direttamente dall’immaginario medievale.
Questo codice è uno dei più preziosi conservati dalla Biblioteca Casanatense. Vergato in gotica libraria su due colonne di scrittura, è decorato in ogni sua pagina con fregi policromi e dorati. Tutte le iniziali, di qualsiasi formato esse siano, sono miniate a colori ed oro. La sua origine, un tempo attribuita all’entourage del duca di Berry, grande bibliofilo e committente di altissimo rango, è piuttosto dubbia mentre è invece certo che il codice fece parte della collezione del duca di Nemours, come testimoniano alcune lettere iniziali sul taglio della legatura del manoscritto che ne rivendicano l’appartenenza alla biblioteca del duca, poichè presenti in tutti i suoi libri. Si sa, inoltre, che fu commissionato da un ecclesiastico, probabilmente Jean d’Armagnac, morto nel 1408, vescovo di Mende, prozio di Jacques.