Crescea la notte e della luna al lume…

di Anna Alberati              

                                                 Cantate profane e immagini barocche 

La Biblioteca Casanatense conserva tra i suoi fondi più preziosi e rari una collezione di manoscritti assai importanti per la storia della musica, in particolare per la storia della musica romana intorno alla metà del Seicento. Si tratta di una ventina di manoscritti nei quali sono state trascritte, da diversi copisti, numerose composizioni vocali profane che possono essere definite Cantate da camera. Sono composizioni di musicisti “romani”, quasi tutte con un organico a una voce, la voce di Soprano, con l’accompagnamento del basso continuo.

Questa serie di manoscritti fa parte del nucleo fondamentale della Sezione Musica della Biblioteca Casanatense, ovvero del Fondo Baini, la collezione musicale privata di Giuseppe Baini giunta in Biblioteca come donazione per lascito testamentario nell’anno 1844.
Oltre a svolgere attività di cantore e poi di camerlengo della Cappella Sistina, Baini fu uno studioso illustre. Egli si inserisce in quel particolare momento storico, la fine del XVIII e la prima metà del XIX secolo, che vide sorgere le prime grandi opere di storiografia musicale e agire una generazione di studiosi anche bibliofili, ricercatori di fonti e documenti nonché collezionisti essi stessi. Costoro divennero gli iniziatori della musicologia moderna, disciplina che si sarebbe configurata come una vera e propria scienza dell’organizzazione storico-filologica delle fonti.
Non è difficile immaginare Giuseppe Baini mentre frequenta le numerose librerie romane di fine ‘700 e primi ‘800 in cerca di fonti musicali, vecchie edizioni, antichi manoscritti, libri non solo utili ai suoi studi dedicati a Pierluigi da Palestrina, ma anche belli, con musica stampata o trascritta lontana dal suo tempo e forse (o sicuramente) dal suo gusto, ma che il cantore-studioso conserva gelosamente nella sua libreria, come gioielli preziosi.

Questi manoscritti sono stati redatti in un periodo che si può inscrivere nella metà del XVII secolo, fra il 1640 e il 1670, forse fino al 1680-1690, e pur essendo diversi, presentano alcune caratteristiche comuni: riportano composizioni dello stesso genere musicale, ovvero cantate a una voce con l’accompagnamento del basso continuo; i compositori sono tutti musicisti attivi a Roma nello stesso periodo; i volumi hanno una fisionomia materiale assai simile, perché di formato oblungo con dimensioni di circa 100×270 millimetri; i copisti sono sempre gli stessi che ricorrono nella trascrizione delle diverse cantate.

Le differenze riguardano invece la legatura e l’ornamentazione: mentre alcuni hanno una semplice legatura in pergamena floscia o semirigida, altri, invece, sono manoscritti assai lussuosi, con una legatura in marocchino rosso che riporta una decorazione fatta di elementi ornamentali impressi in oro sulla pelle. Alcuni presentano anche stemmi, insegne araldiche di nobili famiglie impressi in oro su ambedue i piatti della legatura.
Come diceva un musicologo di qualche decennio fa, John Glenn Paton, the first sight of some of these books take a person’s breath away, so handsome are their leither.

Osservando le legature, in particolare, nasce l’idea che questo tipo di manoscritti musicali sia stato realizzato non solo per l’uso privato (in quanto le cantate si eseguivano in ambiente domestico, ovvero le sale di aristocratiche dimore), ma anche per essere un dono del nobile padrone di casa ai suoi ospiti oppure anche un dono di nozze: gli stemmi presenti in questa collezione, infatti, sono di carattere femminile, e sembrano confortare la realtà di questa ultima ipotesi.
Inoltre questi manoscritti di raccolte di cantate (che sono conservati, in gran numero, sparsi in molte biblioteche d’Italia e d’Europa e che hanno pochissimi corrispettivi a stampa), rivelano una attenzione precisa nei confronti della musica, che sembra essere considerata non soltanto per un uso pratico, ma al contrario appare degna di conservazione come prestigiosa testimonianza.
Per quanto riguarda l’ornato, le iniziali di ogni cantata sono quasi sempre abbellite da motivi grafici, con una unica eccezione, che riguarda il Ms. 2478.
In molti manoscritti, infatti, i capilettera, relativi all’incipit del testo letterario, sono spesso grandi e ornati con raffinati tratti a penna, mentre in uno di essi, ma in uno soltanto, il Ms. 2478, sulla carta d’inizio di ognuna delle 28 cantate il testo musicale e vocale è preceduto-affiancato da eleganti immagini disegnate con inchiostro color seppia, lo stesso della scrittura musicale.

Sono piccole vignette di 70×80 millimetri, racchiuse in una semplice cornice, delicati e finissimi disegni a penna con soggetti diversi, privi di relazione con il testo della cantata che introducono. Questi soggetti spaziano dall’argomento mitologico al quadretto di vita campestre o cittadina, in una città che è facile riconoscere in Roma e in essa luoghi assai noti come Piazza Navona, Piazza Colonna, Via del Corso. Luogo d’origine di questi manoscritti è senza dubbio Roma, città in cui, fra il 1620 e il 1640, nacque questo nuovo genere di musica.
Insieme con l’opera in musica (nel teatro) e all’oratorio musicale (nella chiesa) la cantata è una delle grandi forme musicali nuove: profana, spirituale o sacra che fosse, con un’ espressione generica, che definisce l’ambiente a cui la cantata è destinata, si chiamerà anche cantata da camera (o per camera).

Nel mondo musicale romano gli artisti raccolsero e svilupparono i semi del nuovo stile recitativo nato a Firenze e del genere cantatistico emerso a Venezia.e nella città del Papa il nuovo genere si sviluppò meravigliosamente soprattutto grazie alla ricca e variegata aristocrazia (Barberini, Borghese, Pamphili, Colonna, Rospigliosi), che sosteneva e ascoltava con diletto i numerosi e attivissimi cantanti-musicisti e i compositori di cantate. Per dirla con le parole di Nino Pirrotta, la cantata, nata e battezzata in terra veneziana, proprio a Roma si eleverà a decisa forma d’arte.

Il termine cantata fu adoperato per la prima volta nel 1620 da Alessandro Grandi nelle sue Cantate ed Arie a voce sola, ma successivamente la forma libera del madrigale, unendosi al gusto per il genere drammatico, ne produsse uno del tutto nuovo, una musica intima per voci soliste.
Di norma accompagnate dal solo continuo, le parti vocali (raramente più di tre, ma solitamente una sola) alternavano lo stile recitativo a quello lirico, rispecchiando così il passaggio dal momento narrativo a quello emotivo. Non era fissata alcuna regola né per la durata né per il numero delle arie che dovevano concorrere a formare la cantata, perciò si possono trovare esempi con una singola aria o con più arie, o con arie alternate allo stile recitativo.

Nel Seicento la cantata occupò il posto che nel Cinquecento era del madrigale. I fattori fondamentali alla base della sua affermazione furono l’aspirazione della musica a erigersi in grandi architetture sonore; l’incalzante progredire dello spirito drammatico; la progressiva acquisizione degli strumenti alle voci ovvero l’aprirsi dell’era della musica vocale accompagnata dagli strumenti e la nascita del raddoppio della voce più grave fra quelle che cantano durante le pause del basso (insieme alla parte del basso) ovvero il basso continuo, che serviva allo strumentista che accompagnava le voci con l’organo, con il clavicembalo o con il liuto. Infine la tendenza a esaltare la voce superiore della composizione polifonica, ossia il cantus.

Le 28 cantate trascritte nel Ms. 2478, oltre a 2 anonime, sono composte dai seguenti musicisti: Giacomo Carissimi (2 cantate), Venanzio Leopardi (1), Arcangelo Lori (1), Giovanni Marciani (3), Marc’Antonio Pasqualini (11), Giovanni Carlo Rossi (1), Luigi Rossi (4), Mario Savioni (2), Piero Antonio Vanini (1).
Fra questi musicisti sono di grande rilievo e di assoluto valore artistico, autori di un grande numero di cantate, Luigi Rossi e Giacomo Carissimi.

Luigi Rossi, nato a Torremaggiore (Foggia) circa nell’anno 1598, fu compositore, organista, liutista e cantante: quasi tutta la sua vita trascorse a Roma, prima a servizio di Marco Antonio Borghese, principe di Sulmona, poi come organista a S. Luigi dei Francesi; nel 1641 fu assunto dal cardinale Antonio Barberini come virtuoso da camera e quando i Barberini caddero in disgrazia (a causa dell’elezione del papa Innocenzo X) fu a Parigi fra il 1644 e il 1647, conquistando fama internazionale. Tornato poi a Roma, vi morì nel 1653.

Giacomo Carissimi, nato a Marino (Roma) nel 1605, dal 1630 fu maestro di cappella della Basilica di Sant’Apollinare nel Collegio Germanico Ungarico, dove restò per 44 anni, fino alla sua morte; pur invitato e richiesto da diversi importanti personaggi (re e imperatori), rimase tuttavia sempre a Roma, dove fu anche nominato da Cristina di Svezia “Maestro di Cappella del concerto di camera”.
La sua vita trascorse come insegnante nella Cappella di S. Apollinare annessa alla basilica, compositore di musica su commissione dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso per il suo oratorio, ma fu anche insegnante privato per i numerosi allievi che giungevano dall’Italia e dall’Europa e che diffusero la sua fama in tutta l’Europa (Christoph Bernhard, Kaspar Kerll, Johann Philipp Krieger, Antonio Maria Abbatini, Bernardo Pasquini, Marc-Antoine Charpentier).

A questi due astri della cantata romana del Seicento (e non solo), si affiancano Marc’Antonio Pasqualini, (detto Streviglio), (Roma 1614-1691), compositore e sopranista di grande fama, il quale, dopo essere stato fanciullo cantore a S. Luigi dei Francesi, passò al servizio del cardinale Barberini.
Arcangelo Lori (Arcangelo del Leuto), (Roma 1611-1679), organista e arciliutista a S. Luigi dei Francesi , attivo per le maggiori solennità delle chiese romane.
Infine Mario Savioni (Roma, 1608-1685), compositore e cantore (sopranista e poi contraltista) nella cappella Sistina.

Tutte le cantate, nel loro alternare fra recitativi e arie, hanno lo stesso, appassionato argomento: l’amore.

schede bibliografiche delle cantate contenute nel Ms. 2478