di Margherita Palumbo
La censura ecclesiastica e la teoria eliocentrica
pubblicato in occasione della mostra
“La censura ecclesiastica e la teoria eliocentrica“
Di Roma li 12 marzo 1616 […] Per ordine delli ss. Cardinali della Congregazione dell’Indice è stato di questa settimana pubblicato editto circa la prohibitione d’alcuni libri, et in parte un decreto col quale si dannò l’opinione Pittagorica cioè che la terra si muova, et il sole stia fermo come contraria alla sacra scrittura et prohibita in consequenza una lettera di fra Paolo Foscarini Carmelitano stampata in Napoli, et si sospendono l’opere del Copernico e di Didaco Astuna in Job sino alla loro correttione .
Con queste parole gli Avvisi di Roma danno notizia della avvenuta emanazione, il 5 marzo del 1616, del decreto con il quale la Congregazione dell’Indice proibì, come contraria alla Sacra Scrittura, la teoria eliocentrica, attraverso la condanna di tre opere, i De revolutionibus orbium coelestium libri VI di Niccolò Copernico, i Commentaria in Job di Diego de Zúñiga e la Lettera sopra l’opinione de’ Pittagorici, E del Copernico di Paolo Antonio Foscarini. Il percorso della mostra ruota proprio intorno a questo decreto, della cui emanazione il Sant’Uffizio diede formale comunicazione il 26 maggio 1616 a Galileo, diffidandolo dal continuare a insegnare dottrine condannate dalla Chiesa romana. Il testo del provvedimento censorio fu poi ulteriormente diffuso – tra il 1624 e il 1632 – grazie alla pubblicazione di raccolte cumulative dei decreti emanati dopo il 1596, data di stampa dell’Index librorum prohibitorum di Clemente VIII.
Queste sillogi comprendono, inoltre, il testo di altri due decreti di grande rilievo nella storia della questione eliocentrica: la condanna della Epitome astronomiae Copernicanae di Keplero del 10 maggio 1619 e il Monitum ad Nicolai Copernici lectorem, ejusque emendatio del 1620, che riporta sia l’elenco delle correzioni da apportare ai De revolutionibus orbium coelestium libri VI sia il divieto generale dei «Libri omnes docentes mobilitatem Terrae, & immobilitatem Solis», e che con tale formulazione sarà inserito – fino alla sua abrogazione nel 1758 – negli Indici dei libri proibiti successivamente pubblicati.
Una parallela diffusione, anche al di fuori dei confini dello Stato Pontificio, della proibizione dei libri eliocentrici si ebbe grazie a trattati filosofici e teologici dati alle stampe in quegli anni, e che includono il testo del decreto del 1616 e del Monitum del 1620, rendendo così manifesto – come osserva nel 1621 il gesuita Adam Tanner – che ormai, alla luce di quanto stabilito dalla censura di Roma, non è più possibile sostenere, senza incorrere in gravi pericoli, la tesi della mobilità della Terra: «hactenus decretum: quo sane fit, ut opposita doctrina tuto defendi amplius non possit». Un avvertimento a cui diede ulteriore forza la sentenza di condanna di Galileo, pronunciata dai cardinali del Sant’Uffizio il 22 giugno 1633, e la conseguente proibizione del Dialogo sopra i due massimi sistemi, il cui titolo fu incluso in un decreto emanato dalla Congregazione dell’Indice il 23 agosto del 1634. Anche della conclusione del secondo processo galileiano e della abiura pronunciata nella Chiesa romana di Santa Maria sopra Minerva vi è ampio riflesso in tante opere pubblicate in quel periodo, ad esempio nell’Anticopernicus catholicus di Giorgio Polacco e nell’Almagestum novum del gesuita Giovanni Battista Riccioli. Tra il 1655 e il 1656 vide la luce a Firenze la prima edizione delle Opere di Galileo, e nella quale non potè quindi essere ristampato il Dialogo sopra i due massimi sistemi, e che nel corso del XVII secolo circolò solo nei paesi ‘d’oltralpei’, nella versione latina di Matthias Bernegger data alle stampe nel 1635, all’indomani quindi della condanna ecclesiastica.
Di tutte queste vicende la Casanatense offre ricca testimonanza nei propri fondi storici. Tra gli oltre settantamila documenti della collezione degli Editti e bandi la Biblioteca conserva sia la copia a stampa, di grande rarità, del decreto del 5 marzo 1616, sia il manifesto con cui la Congregazione dell’Indice rese pubblica la proibizione del Dialogo galileiano. Pressoché completa è la serie di Indici dei libri proibiti – comprese le sillogi del 1624 e del 1632 – a documentazione delle condanne dei libri eliocentrici emanate dalla Chiesa di Roma. Non mancano i trattati secenteschi che contribuirono alla diffusione di tali proibizioni, così come sono presenti tutte le edizioni condannate tra il 1616 e il 1634, alle quali abbiamo fatto riferimento. Degni di nota sono, in particolare, gli esemplari conservati in Biblioteca dei tre libri nominati nel decreto del 1616, ossia i De revolutionibus orbium coelestium libri VI di Copernico, i Commentaria in Job di de Zúñiga e la Lettera sopra l’opinione de’ Pittagorici, E del Copernico di Foscarini.
Nelle copie sono infatti visibili chiari segni di censura, e – nel caso di Copernico – del tutto conformi alle correzioni al testo approvate dalla Congregazione dell’Indice e pubblicate nel Monitum del 1620. Se la presenza di tali censure è già di indubbio interesse, un’ulteriore circostanza arricchisce il valore documentario di questi esemplari casanatensi.
La questione eliocentrica non si chiuse, infatti, con la pubblicazione nel 1634 del decreto di condanna del Dialogo galileiano, ma continuò a impegnare la Chiesa romana per quasi altri due secoli, fino al 1822. Nel 1753 Benedetto XIV emanò la costituzione Sollicita ac provida, al fine di riformare i meccanismi e le regole della censura libraria. Risultato fu l’emanazione, nel 1758, di un nuovo Index librorum prohibitorum, dal quale fu abrogato il divieto generale dei libri eliocentrici.
Un segno di apertura che senza dubbio riscosse il plauso della comunità scientifica, ma che al tempo stesso appariva contraddetto dal fatto che nell’Indice di papa Lambertini fossero, invece, mantenute le proibizioni nominative di Copernico, de Zúñiga, Foscarini, Keplero e Galileo, con l’indicazione dei relativi decreti di condanna, ritenuti quindi ancora vigenti. Da più parti fu rilevata la ambiguità di tale decisione, e sulla quale era forse pesata l’improvvisa morte del Pontefice il 3 maggio del 1758.
La questione esplose, però, in tutta la sua gravità solo nel 1819, quando l’allora Maestro del Sacro Palazzo, il domenicano Filippo Anfossi, rifiutò di concedere l’imprimatur al secondo volume degli Elementi di ottica e astronomia di Giuseppe Settele, professore dell’Archiginnasio romano. La ragione della mancata concessione era – a distanza di due secoli – proprio il decreto del 5 marzo 1616 di condanna dell’eliocentrismo, teoria ampiamente sostenuta da Settele nella sua opera.
A sostegno dello stimato autore degli Elementi di ottica e astronomia intervenne, però, un altro e potente domenicano, il commissario del Sant’Uffizio Maurizio Benedetto Olivieri, che decise di avocare il caso al proprio dicastero, aprendo un delicato conflitto di competenza con il Maestro del Sacro Palazzo, autorità alla quale era stato sempre demandato il controllo della editoria nella città di Roma. Olivieri non esitò a consigliare a Settele di rivolgersi a una autorità ancora superiore, ossia allo stesso Pio VII, al quale l’astronomo romano indirizzò una supplica non solo per ottenere la licenza di stampa negatagli da Anfossi, ma anche per chiedere che finalmente fossero abrogate le tanto controverse proibizioni dei cinque libri eliocentrici ancora all’Indice.