Incantevoli vestimenti

Carte decorate del ‘ 700

In questo periodo natalizio, che dovrebbe essere, dell’anno, il più lieve e festoso, vogliamo temporaneamente abbandonare l’erudizione raffinata per godere dei fragili, deliziosi esemplari di una antica arte decorativa ‘minore’ conservati tra i fondi casanatensi.
Ci riferiamo alle carte decorate, usate frequentemente come carte di guardia di legature, come rivestimento di piatti per legature in mezza pelle, come brossure per opuscoli o volumetti di spessore minimo e componenti essenziali di un gusto della legatoria in cui il desiderio del libro come oggetto di pregio non si smarriva neanche davanti al fascicolino conservato come documento d’archivio.

Prodotto di origine orientale, le famose carte turche, si diffuse rapidamente in Europa sin dal sec. XV: in Italia furono apprezzate e prodotte carte decorate a xilografia e a colla, la Francia fu la patria delle carte marmorizzate, la Germania delle dorate goffrate e l’Inghilterra delle vellutate; tuttavia i frequenti scambi culturali e commerciali fecero sì che carte d’ogni tipo venissero copiate e fabbricate ovunque con ricchezza e fantasia inesauribili.
Visto che l’ampiezza dell’argomento ci obbliga ad una scelta, incentreremo la nostra attenzione sulla tipologia meno diffusa, ma più colorata, fastosa e perciò usata anche in piccole decorazioni domestiche: le carte dorate. La produzione di questo manufatto in gran voga nel Settecento era concentrata nelle città tedesche di Augsburg, Norimberga, Fürth, Francoforte, Worms e, vista la grande richiesta commerciale, fu protetta da privilegi impressori imperiali, che non poterono comunque impedirne la diffusione in Francia, dove però si gradì un decoro minuto, preferibilmente a piccole stelle d’oro su fondo bianco; e in Italia, dove continuò a trionfare il gusto barocco d’importazione germanica. I primi ad ottenere nel 1698 il privilegio imperiale per questa manifattura furono Abraham Mieser, che fabbricava una carta metallica stampata in oro e argento; e Mathias Frölich, che a questa carta aggiunse la policromia su un vasto campionario iconografico.
Sono facilmente desumibili le motivazioni per cui questa arte applicata ebbe come luogo di nascita e centro di sviluppo Augsburg. Città di rigogliosa economia per la sua posizione commerciale, mediatrice fra il centro ed il nord Europa, contatto con il Levante attraverso l’Italia, Augsburg era un luogo in cui cultura, arte ed artigianato avevano saputo allacciare saldi e proficui rapporti con le esigenze produttive e mercantilistiche. Si qualificò così come sede d’elezione per orafi, argentieri, disegnatori, incisori e stampatori-editori.

E’ infatti dalla partecipazione delle esperienze di tutte queste professionalità che nacque un prodotto tecnicamente complesso, di alta qualità artigianale, conforme al gusto degli acquirenti settecenteschi e per ciò di vasto e duraturo successo sul mercato. Relativamente ai procedimenti manifatturieri ed alle tipologie delle carte dorate è da precisare che sotto questo generico termine vengono raccolti tre tipi fondamentali di carta:
a metallizzazione uniforme (a superficie liscia, a cioccolatino), dorata silografata (bronzefirnispapier, non a rilievo, da matrice xilografica) e dorata goffrata (goldbrokatpapier, a rilievo o goffrata, da matrice calcografica).

Nel primo caso si applicava sulla superficie cartacea un mordente resinoso al quale venivano fatte aderire, probabilmente a caldo, sfoglie di metallo battuto, d’argento o d’oro a seconda dell’effetto da ottenere. Il problema dell’alto costo dei metalli nobili venne superato sia con l’uso di sfoglie ad alta percentuale di rame, bronzo o stagno che con la più diffusa tecnica dell’applicazione a pennello di polveri di metallo legate da una soluzione adesiva gommosa; questa veniva lasciata asciugare e poi il lato trattato della carta veniva lisciato con una pietra focaia o con una bacchetta d’osso per aumentarne la lucentezza. Come per tutte le carte dorate la qualità dei metalli utilizzati, o delle leghe, era determinante per la pregevolezza del risultato finale e ancor di più lo è stata per la conservazione sino ai nostri giorni. I processi di ossidazione infatti hanno attecchito con maggiore virulenza su prodotti destinati verosimilmente ad una diffusione generalizzata, la cui confezione era stata meno accurata e quindi certamente più economica. Questa carta a metallizzazione uniforme e liscia, tirata di solito in fogli di piccolo formato, fu scarsamente utilizzata in legatoria sia per l’alto costo e la relativa fragilità che per motivazioni estetiche, preferendosene l’uso come carta da fodera per mobiletti preziosi e arredi sacri o per l’applicazione a ritagli su elementi decorativi a cui si voleva dare una doratura ‘povera’ o addirittura casalinga.

Per ottenere la carta dorata silografata, con termine tedesco Bronzefirnispapier, veniva utilizzato un foglio di carta, preventivamente colorata a pennello in tinta unita o a macchie policrome, sul quale veniva impresso con il torchio un motivo ornamentale, precedentemente inciso su matrice lignea ed inchiostrato con una vernice amalgamata a gommalacca nella quale era stata stemperata polvere di rame, di bronzo o di stagno. L’effetto ottenuto era quello di un foglio colorato sul quale spiccavano, in piano, decorazioni metallizzate costituite per lo più da intrecci fitomorfi, da seminati o grigliati.
Per la carta dorata goffrata, con termine tedesco Goldbrokatpapier, il procedimento era più complesso, ma il risultato sicuramente più appariscente per l’esaltazione della brillantezza dei metalli e per la maggiore visibilità del disegno dovuta al rilievo. Il termine ‘goffratura’ deriva dal francese gaufre, con cui si indica una cialda ottenuta facendo cuocere una pasta dolce fra due stampi di ferro arroventati; questo prodotto dolciario, prevalentemente natalizio se arricchito con mosto cotto, sanguinaccio e frutta secca triturata, è tipico anche di alcune regioni italiane. In Abruzzo, per esempio, prendono il nome di ferratelle sottili biscotti il cui impasto viene colato fra due stampi metallici, incisi in cavo con disegni geometrici o floreali, preriscaldati e poi serrati tra loro sino a cottura della pasta. Come risultato finale il biscotto pronto reca sulla superficie il disegno delle piastre a rilievo.

La goffratura era un procedimento di stampa in rilievo molto in voga nel Settecento per decorare carta, cuoio e stoffe utilizzati per confezioni di lusso che spaziavano dall’abbigliamento, all’arredamento, all’oggettistica, dai ventagli ai portafogli, alle scatole da cipria, ai cofanetti, alle legature, agli scranni, alle poltrone. Sovente queste carte, così invitanti per colori e disegni, servivano allo svago dei bambini che le usavano per decorare piccole scenografie per teatrini, edicolette sacre e per dare fasto ai presepi casalinghi.

La prima operazione della manifattura consisteva nel disegnare su carta il motivo ornamentale prescelto che poi veniva inciso in profondità su una spessa lastra di rame o di ottone; su questa matrice, preriscaldata e posta su una pressa di tipo calcografico, venivano adagiati nell’ordine una sottile lamina metallica dorata o argentata, un foglio di carta di adeguato spessore, preventivamente colorato in tinta unita o a macchie policrome e leggermente inumidito, e un feltro protettivo; la pressione dei rulli del torchio, il calore della matrice e l’umidità della carta determinavano contemporaneamente l’adesione del metallo al foglio e l’impressione in rilievo del motivo decorativo.
Per l’esattezza, se sulla matrice il disegno era stato inciso a rilievo, sul foglio il motivo risultava dorato e incavato mentre appariva rilevato il fondo colorato del foglio; se al contrario il disegno era stato inciso in cavo il motivo risultava colorato e rilevato su fondo dorato e incavato.
Il foglio, liberato dalla pressa e dal feltro, veniva lasciato asciugare, quindi spolverato per eliminare gli eccessi di doratura, ritoccato leggermente a pennello con vernice metallizzata se si era verificato un difetto nell’adesione della lamina, ed infine delicatamente lucidato con i consueti metodi.

L’apparato iconografico delle carte goffrate era giustamente adeguato alla sontuosità del risultato da ottenere, presentando spesso contemporaneamente una commistione di elementi rinascimentali – quindi grottesche, mascheroni, putti, candelabri, festoni – e di quei motivi iconografici di derivazione indiana, persiana e cinese che si andarono imponendo dalla metà del Seicento fino a tutta la prima metà del Settecento: gli arabeschi, i grandi fiorami con tulipani, garofani e peonie, le volute vegetali cariche di frutta e di uccelli esotici, le scene di caccia in costume orientale, le lotte di animali, le cineserie. I toni smaglianti dei rossi, dei turchesi, degli arancio, dei viola, dei fucsia, uniti allo splendore dell’oro, ricordano fastose arazzerie fiamminghe ed imitavano i broccati e i damaschi del tempo con i loro complicati disegni di gusto ancora barocco.

Con il procedere del Settecento i moduli ornamentali si andarono gradatamente limitando all’elemento fitomorfico, riducendosi nelle dimensioni ma affollandosi, schematizzando i contorni ed inserendo piccole decorazioni geometriche, fino ad ottenere un effetto finale assimilabile ad un fitto, e talora pesante, seminato.

I produttori di carte decorate di cui è possibile identificare la marcatura nei fogli casanatensi, o di cui è possibile ipotizzare una paternità editoriale, sono tutti di area tedesca e fra i nomi più noti ricorrono quelli di Simon Haichele, Maria Barbara Keck, Joseph Friedrich Leopold, Apollonia Maiestetter, Georg Reimund, Johann Michael Schibecher, Georg Christoph Stoy.
Ciò che maggiormente ha suscitato curiosità durante la ricerca di notizie sulle botteghe di questi artigiani è la constatazione del protagonismo femminile nelle strategie d’impresa familiari che spesso hanno determinato l’esistenza delle stamperie, cespite precipuo di trasmissioni dotali ed ereditarie. Frequente il caso di aziende tipografiche trasmesse da padre a figlia, addirittura da zio a nipote, ereditate dal primo coniuge, portate in dote al secondo marito e poi passate alle figlie a loro volta spose di stampatori-editori. Cosicché legami matrimoniali e parentali stabiliti tra famiglie di tipografi hanno favorito la trasmigrazione da un’impresa all’altra di rami e legni incisi, di disegni, campionari e privilegi di stampa, componendo conflitti concorrenziali e determinando il potenziamento e l’espansione sul mercato delle officine.

Mentre Francia e Inghilterra rimasero sostanzialmente fedeli all’uso delle carte marmorizzate, le carte dorate, oltre che in Germania, riscossero grande successo in Italia, in particolare a Firenze, a Roma (con Egidio Petit e Angelo Topai), a Venezia, dove il teatro La Fenice venne completamente tappezzato all’interno con carta dorata goffrata, utilizzata in questo caso per arredamento.
Maggiori produttori ne furono i famosi Remondini di Bassano che nel 1746 ottennero dal governo veneziano il privilegio di stampare, fra le altre, carte dorate e argentate; questa sorta di misura protezionistica contro l’importazione servì certo ad incrementare la produzione locale, ma certo non risolse ai nostri artigiani il problema dell’approvvigionamento della materia prima, i fogli metallizzati prodotti in Germania nelle fabbriche dei dintorni di Augsburg.

Per saperne di più:
Carte decorate nella legatoria del ‘700 dalle raccolte della Biblioteca Casanatense a cura di Piccarda Quilici. Roma, Ist.Poligrafico e Zecca dello Stato, 1992