di Sabina Fiorenzi
Quando il Tevere faceva paura.
Fin dai tempi antichi il Tevere è stato per gli abitanti di Roma e dei suoi dintorni “croce e delizia”. All’amenità delle sue sponde e alla piacevolezza delle attività che si potevano esercitare su di esse e sull’acqua che si potevano esercitare su di esse e sull’acqua, si contrapponevano infatti periodicamente spaventose inondazioni con conseguenze terribili in termini di perdite di vite umane e di attività economiche.
Il fatto che ci fosse una consuetudine a tali tragedie non ne diminuiva certamente la calamitosa portata e da sempre studiosi si sono applicati a vario titolo all’analisi della situazione e all’elaborazione di proposte in grado di porre un rimedio definitivo al problema delle catastrofiche piene del Tevere. Nella Roma antica, per esempio, anche Plinio il vecchio riflette su questi avvenimenti e, in un passo della sua Naturalis historia, ravvisa come causa delle inondazioni del fiume la scarsa religiosità dei romani e come rimedio un maggior numero di sacrifici per ingraziarsi gli dei e scongiurare i castighi sotto forma di calamità naturali.
Poichè i luttuosi recenti eventi causati dagli strariparimenti di fiumi e torrenti hanno portato ancora una volta tristemente alla ribalta il problema della cura e della manutenzione dei corsi d’acqua e del territorio nel nostro Paese, abbiamo pensato di riproporre ai nostri lettori una scelta di opere che trattano il problema delle inondazioni del Tevere, effettuata e commentata da tre colleghe: Ada Corongiu, Antonietta Amicarelli Scalisi e Rita De Filippi. Questo lavoro venne eseguito per una mostra dal titolo Roma la città dell’acqua, allestita in Casanatense nel lontano 1994. Molti anni fa dunque, ma ci sembra che l’accurata selezione che venne svolta per quell’occasione tra i libri antichi della biblioteca, mantenga ancora oggi tutta la validità delle ricerche ben fatte ed esaurienti un argomento.
Crediamo fermamente che conservare e rendere disponibili per tutti i cittadini di oggi e di domani la memoria storica degli eventi, dei problemi ad essi connessi, le riflessioni teoriche dai quali sono scaturiti e che essi hanno generato possa contribuire alla crescita e al miglioramento della società nel suo insieme. Per questo motivo sono state istituite le biblioteche e gli archivi e per questo scopo, a nostro avviso, dovrebbero continuare ad esistere.
Dedichiamo questo editoriale al ricordo delle vittime delle recenti alluvioni in tante, troppe regioni italiane.
Per introdurre dunque la parte del catalogo di quella mostra del ’94 che tratta delle inondazioni del Tevere abbiamo scelto in particolare il commento illustrativo di quattro opere, tra le molte di fondamentale importanza sul tema in oggetto, frutto di approcci diversi allo stesso problema: la prima di Francesco Maria Onorati: Apologia … per la passonata fatta sopra il Tevere fuora di Porta del Popolo in difesa della strada Flaminia con la direttione del signor Cornelio Meyer famoso ingegniere olandese… Roma, 1698, in cui l’autore magnifica la realizzazione del progetto di risanamento e contenimento del fiume dell’ingegnere olandese Cornelis Meyer.
La seconda, dell’architetto Carlo Fontana: Discorso … sopra le cause delle inondationi del Teuere antiche e moderne à danno della città di Roma, e della insussistente passonata fatta auanti la villa di Papa Giulio III… Roma, 1696, in cui il celebre architetto contesta la validità dell’ “operazione Meyer” a favore del proprio progetto.
La terza, l’importante lavoro degli ingegneri Andrea Chiesa e Bernardo Gambarini: Delle cagioni e’ de rimedi delle inondazioni del Tevere. Della somma difficoltà d’introdurre una felice, e stabile navigazione da Ponte Nuovo sotto Perugia sino alla foce della Nera nel Tevere, e del modo di renderlo navigabile dentro Roma, 1746.
E infine la quarta ed ultima, di Luigi Amadei: Progetto della deviazione del Tevere del generale Giuseppe Garibaldi … Napoli, 1875, che rientra nel gran numero delle proposte mai realizzate, ma che è tuttavia utile sia perchè illustra, su incarico di Garibaldi, il progetto di deviazione del Tevere ideato dal generale, sia perchè contiene anche la narrazione delle vicende politico-amministrative che precedettero l’avvio della tanto sognata soluzione del problema Tevere che avvenne poi secondo il progetto dell’ing. Raffaele Canevari, anch’esso illustrato nella pubblicazione.
Va da se’ che queste note servono esclusivamente per introdurre l’argomento e per suscitare la curiosità del lettore e l’interesse dello studioso: per l’approfondimento si rimanda all’elenco delle opere e relative schede bibliografiche ma soprattutto ai testi originali in esse descritti, tutti reperibili in biblioteca.
Francesco Maria ONORATI
Apologia … per la passonata fatta sopra il Tevere fuora di Porta del Popolo in difesa della strada Flaminia con la direttione del signor Cornelio Meyer famoso ingegniere olandese... In Roma, Per il Bernabò, 1698. [8], 59 p. ill., 1 tav. ripieg. fol. (30 cm)
(coll. Misc. 205.11)
Dopo aver dedicato questa Apologia al cardinale Giovanni Francesco Albani, segretario dei Brevi di Innocenzo XI, così l’Onorati si rivolge al lettore: “La passonata diretta dal Sig. Cornelio Meyer ingegniere olandese, ha havuto tante opposizioni che maggiore è stato il fastidio di superar queste, che far quell’opera, ma finalmente essendo state riconosciute ne i primi Tribunali della Corte per insussistenti, è restata la passonata approvata, & hoggi felicemente illesa, & intatta non ostanti le molte alluvioni del Tevere, che quanto sono state maggiori, tanto l’hanno corroborata con un totale interramento dalla parte interna, e coll’havere stabilito l’alveo a scarpa avanti di lei di modo che lo spirito, o sia filone delle acque ivi scorre molto lontano dal piè della passonata. Io ho avuto l’honore di rappresentar le ragioni a questi supremi giudici suggeritemi dal signor Cornelio secondo i suoi nuovi principi di far passonate all’usanza olandese, che in quelle parti sostengono con artificio incomparabile sopra il dorso delle passonate il peso di tutte le acque di quel gran mare che bagna l’Olanda…”.
Come si vede, si tratta di una difesa, fatta con fermezza e ironia, contro i “Professori” oppositori dell’opera fatta dal Meyer sul Tevere, vicino alla villa di Giulio III sulla Flaminia, dove una grande corrosione dovuta ad una tortuosità dell’alveo, aveva “divorato” tante vigne e minacciava la bella strada consolare. Onorati ripercorre la storia dei vari progetti che dal pontificato di Alessandro VII fino a quello di Clemente X furono presentati e rigettati a causa della loro inefficacia, come quello del ferrarese Ippolito Negrisoli, o per il prezzo eccessivo (80.000 scudi), come quello del “cav. Bernini, fenice de nostri tempi.” Finchè nel 1675, venuto a Roma per l’Anno Santo, il Meyer ebbe l’occasione di poter confermare la veridicità della sua fama di ingegnere delle acque presentando, su richiesta del papa Clemente VII, un progetto per risolvere il suddetto problema della corrosione del fiume presso la Flaminia, per la spesa di 8 mila scudi, che convinse la Sacra Congregazione delle Ripe e quella dei Conti.
Ma nell’attuazione, avvenuta sotto Innocenzo XI, “oltre alle difficoltà naturali di contrastar con due potentissimi elementi acqua, e terra, hebbe l’ingegniere difficoltà molto maggiori causategli ò dagli emuli, ò dagli ignoranti…” che, con false notizie di crolli o perizie negative sulla efficacia della palizzata, riuscirono più volte a far sospendere i finanziamenti e, quindi, i lavori. Si distinsero in questo Agostino Martinelli, che pure antecedentemente aveva fatto pubbliche lodi del Meyer e ne aveva copiato le tecniche, e tanti altri architetti, soprattutto il famoso Carlo Fontana che ne voleva addirittura demolire l’opera: Onorati ci dà un resoconto preciso di tutte le dispute, fornisce i rendiconti delle spese, descrive la lunga realizzazione dell’opera evidenziandone i pregi e la perfetta riuscita ed utilità, difende l’ingegner Meyer da ogni accusa, elogiando “…il singolare studio si suo, che di due suoi figliuoli: invigilando continuamente giorno, e notte, esposti a non pochi pericoli, e particolarmente con esser cascato diverse volte l’Ingegniere nell’istesso Tevere vestito, ove una volta perdette un diamante di sc. 300. & un horologio di molta stima, & à questi pericoli corsi si aggiungevano le intemperie dell’aria nell’andar d’estate e inverno per le campagne à cercar sassi, e fascine, e legnami, e per accelerar gli operai…”. Così, per l’indefessa diligenza del Meyer fu terminata la palizzata, fortificata da un grande saliceto e da tanti alberi dalle salde radici. Un editto del 15 marzo 1679 chiuse tutte le controversie e decretò, contro tutti i detrattori e danneggiatori, la conservazione dell’opera e la sua intoccabilità. (Ada Corongiu)
Carlo FONTANA
Discorso … sopra le cause delle inondationi del Teuere antiche e moderne à danno della città di Roma, e della insussistente passonata fatta auanti la villa di Papa Giulio III. Per riparo della via Flaminia … In Roma, Nella Stamperia della Reu. Camera Apostolica, 1696. 35 p. 3 tav. ripieg. fol. (30 cm)
(coll. Vol. Misc. 219.9)
“La stima, che faceuano i Romani del nostro Teuere fù così grande, che arrivò la loro cecità a deificarlo …”. Con queste parole il famoso architetto comincia il suo discorso sul Tevere che, però, è tutto teso ad arrivare al suo vero scopo: l’attacco all’opera, menzionata nel titolo, di Cornelius Meyer, ingegnere olandese, come vedremo più avanti. Ricorda il Fontana come gli antichi ebbero a cuore la pulizia e la custodia del loro fiume: Augusto istituì la carica di Magistrato per la cura del Tevere e delle sue ripe; al tempo della Repubblica se ne occuparono censori e curatori, affiancati anche da un magistrato per la sopraintendenza delle Cloache, che vigilava che queste non immettessero nel fiume materiali che ne potessero alzare l’alveo e facilitassero le alluvioni data la larghezza di questo e la bassezza delle ripe. Decaduta la potenza di Roma, che si era arricchita anche con i traffici lungo il suo fiume, e dopo secoli di trascuratezza, lo stato del Tevere, così come Fontana lo descrive, è deplorevole e quasi del tutto compromessa la sua navigabilità. Le cause principali delle inondazioni da lui indicate sono la catena dei ponti (da Ponte Milvio fuori Porta del Popolo, a Ponte S. Angelo, ai resti del Ponte Trionfale (o Vaticano), a Ponte Sisto (o Gianicolense), a Ponte Cestio, Ponte Palatino (o Rotto), Ponte Sublicio dopo la Marmorata, vicino alla Ripa e sbarco delle navi); le ripe trascurate e soprattutto la disuguaglianza dell’alveo, le palizzate dei molinari, che con esse deviano il corso dell’acqua per accrescere e riunire le correnti per servizio dei loro mulini, le immondizie che alla Penna e in tutta la città hanno alzato il letto del fiume, e “… gli augumentati mali … a causa della passonata susseguentemente descritta …”.
E qui il Fontana tocca finalmente il punto centrale del suo discorso parlando dell’origine e della storia di questa opera compiuta nel fiume. A monte della città si manifestò, ai tempi di Alessandro VII, una grave corrosione alla sponda sinistra del Tevere che, all’altezza della vigna della villa di papa Giulio III, metteva in grave pericolola via Flaminia. Morto Alessandro VII, il nuovo pontefice Clemente IX consultò vari specialisti per i rimedi opportuni e, su consiglio di Giulio Cesare Nigrelli fu convocato a Roma il ferrarese Ippolito Negrisoli, esperto delle alluvioni padane. Le tardive e inconsistenti proposte di questi valsero al Fontana l’incarico di coadiuvarlo nella esatta delineazione del fiume. Al termine di questa rilevazione, il progetto di Negrisoli fu bocciato e approvato invece da Bernini e da Agostino Martinelli quello di Fontana che fu anche pubblicato a mezzo di editti. Ma l’avvio del progetto fu arrestato dalla morte del pontefice. Al suo successore Clemente X il cardinale Azzolini presentò l’olandese
Cornelio Meyer, che secondo l’A. seppe conquistarsi l’animo degli alti prelati facendo loro credere di poter usare sistemi del tutto originali ed economici. Il progetto del Fontana, consistente in un sistema di passonate ad angoli ottusi, con pennelli e fortificazioni sulla sponda opposta alla corrosione, per incanalare la corrente, fu rigettato e il lavoro affidato al Meyer. Si capisce lo scorno dell’architetto … Il progetto del Meyer, che si fondava sul fatto che le corrosioni dipendevano dalla spinta che in diagonale l’acqua scaricava dalla alluvione opposta alla sponda corrosa, prevedeva la costruzione di un pennello all’inizio dell’ansa e altri quattro di un solo filo di palificata verso l’alluvione per favorire il deflusso delle acque verso il centro del fiume, la escavazione di un canale, e la costruzione di una grande palificata nel fiume, il taglio di grosse parti di terreno sulla sponda opposta per allargare il corso.
Cominciati i lavori nel 1678, si scatenarono le critiche, forse in qualche modo giustificate, e ogni genere di boicottaggio. Nel 1684, in un momento particolarmente critico, fu affidata una perizia al Fontana che ne approfittò per riprovare completamente, come addirittura controproducente, il lavoro del Meyer che, secondo lui, doveva essere distrutto, e per riproporre il suo progetto di costruzione di muraglioni. Ma ancora una volta il suo progetto rimase sulla carta e nel 1699 fu emanato un editto per la conservazione della passonata.
La pubblicazione contiene i progetti e la perizia del Fontana relativi a questa controversa vicenda ed è corredato da 3 belle tavole incise così intitolate: 1) Lo stato del fiume in tempo delle corrosioni. Modo proposto per il rimedio; 2) Profilo del Tevere con passonata; 3) Situazione del Tevere a Ponte Molle.
Le p. 31-35 contengono un “Discorso di monsig. illustriss. Vespignani sopra il Tevere e qual rimedio possa darsi per diminuire in parte l’inondazioni … . (Ada Corongiu)
Andrea CHIESA – Bernardo GAMBARINI
Delle cagioni e’ de rimedi delle inondazioni del Tevere. Della somma difficoltà d’introdurre una felice, e stabile navigazione da Ponte Nuovo sotto Perugia sino alla foce della Nera nel Tevere, e del modo di renderlo navigabile dentro Roma. In Roma, Nella Stamperia di Antonio de’ Rossi, 1746. 119, [1] p. ill., 2 tav. ripieg. fol. (43 cm) (coll. C.IV.9)
Nell’anonima prefazione di questa famosa opera si ricorda come Jacomo Castiglione annoveri trentasei grandi inondazioni di Roma dalla sua fondazione al 1598 e che tantissime altre e gravi, testimoniate dalle varie iscrizioni sparse per la città, sono seguite da allora. Dopo l’ennesima piena del Tevere nel 1742 e il solito triste seguito di morte di persone e animali, rovine per tutta la città e le immancabili diatribe sulle vere cause del fenomeno, verso la fine dell’anno seguente il pontefice Benedetto XIV chiamò a Roma due suoi conterranei, gli ingegneri bolognesi Andrea Chiesa e Bernardo Gambarini perché chiarissero lo stato delle cose e proponessero eventuali rimedi: “…Ed eglino prestamente all’opera accingendosi, né dalla noja della fatica, né dal pericolo d’aria insalubre nella calda stagione ritardati in pochi mesi a perfezione la trassero, e poi le ridussero in Profili e in mappe, e in due Relazioni partitamente le dichiararono, l’una delle quali alla visita delle Chiane appartiene, l’altra allo stato, & adiacenze del Tevere.” L’interesse del papa era rivolto anche alla navigazione urbana ed extraurbana del fiume, ma sia per questo problema che per quello delle inondazioni le relazioni dei due ingegneri non lasciarono molte speranze, limitandosi piuttosto alla constatazione delle enormi difficoltà e dei costi insostenibili di opere se non inutili, certo solo palliative.
La prima relazione descrive il minuzioso scandaglio dell’alveo e la ricognizione delle rive lungo tutto il corso del fiume. In essa l’individuazione delle principali cause delle alluvioni interne alla città è la stessa di tanti altri autori e anche “…i rimedi per tener più basse le inondazioni ed impedirne alcune, delle minime…” sono appunto non risolutivi e non differiscono da quelli del Bacci, di Castiglione e di tanti altri. Essi consistono nella rimozione dei resti degli antichi ponti Sublicio e Trionfale e di altri muri e fabbriche diroccate nell’acqua; nel trasportare le sia pur utili mole ad acqua a monte, fuori della città, liberando il fiume delle lore palizzate tanto nocive al libero corso della corrente; nel liberare i ponti da tutti i depositi di terra ed altre materie creatisi a ridosso delle loro strutture; nella rimozione anche di un isolotto formatosi al principio dei due rami che formano l’isola Tiberina. Gambarini e Chiesa danno molti suggerimenti per compiere queste operazioni mentre a p. 51-52 definiscono come “… posti verso il confine dell’impossibile …” o “… di … eccessiva spesa …” interventi più consistenti come la creazione di grandi argini (muraglioni), di collettori per l’acqua delle chiaviche, di “drizzagni”, cioè raddrizzamenti di gomiti troppo stretti dell’andamento del fiume.
È firmata solo dall’ingegner Gambarini la seconda relazione, dedicata alle Chiane (biforcazione del fiume omonimo in Toscana prima di entrare nel Paglia e quindi nel Tevere) tante volte e da tanti autori ritenute una delle cause principali delle piene disastrose del fiume fuori e dentro Roma. L’ingegnere bolognese sostiene e dimostra che i lavori di bonifica in quel luogo, causa di tante liti fra Firenze e Roma, non hanno avuto effetti negativi e che l’acqua delle Chiane non può essere quindi causa delle inondazioni tiberine. Sul problema della possibilità di restituire una stabile navigabilità tra Perugia e la confluenza della Nera nel Tevere, il volume contiene la relazione della visita fatta in quei luoghi, per incarico di Clemente XII, da Giovanni Bottari e Eustachio Manfredi, che così la concludono: “…talchè a considerar bene quanto da noi si propone piuttosto che animar a intraprendere questa navigazione, potrà forse servire a deporne per sempre in avvenire le diligenze, e il pensiero.”
In fine una relazione firmata dal solo Chiesa tratta del modo di rendere navigabile il tratto cittadino del Tevere tra Ripetta e Ripa Grande, ormai percorso quasi soltanto da piccole imbarcazioni. Vengono indicate come cause che rendono difficoltosa o impossibile la navigazione la poca altezza dell’acqua, la soverchia pendenza dell’alveo, numerosi impedimenti che lo ingombrano come ruderi, palizzate, e i mulini, soprattutto quelli sotto il ghetto e quello vicino a Ponte Rotto. Nel complesso, nonostante i particolareggiati rimedi suggeriti, l’Autore non sembra molto convinto della loro efficacia e convenienza economica. Da quanto sopra accennato appare evidente che anche le idee di Gambarini e Chiesa non valsero a risolvere nulla del secolare problema del Tevere, ma quello che ha reso memorabile la loro opera sono le rilevazioni, da essi compiute con grande precisione e impegno, di tutto il corso del fiume e la loro raffigurazione. La pubblicazione infatti, già impreziosita da piccole incisioni di vedute di antichità romane, è corredata da due grandissime tavole pieghevoli che danno una esatta descrizione dello stato del fiume alla metà del ‘700, con tutto ciò che è in esso, sopra e accanto ad esso.
La prima (167 x 73 cm), intitolata “Pianta del corso del Tevere e sue adiacenze dallo sbocco della Nera fino al mare e profilo di livellazione del medesimo…” raffigura anche, in scala più grande, le vedute e sezioni di Ponte Felice, vicino Magliano Sabina, Ponte Molle, Ponte S. Angelo, Pontre Sisto, Ponte Quattro Capi, la facciata di S. Bartolomeo all’Isola, la veduta del Ponte Ferrato (Cestio).
La seconda (67 x 48 cm) è intitolata Andamento del corso del Tevere, e sue adiacenze per il tratto della città di Roma, e profilo di livellazione, e sezioni, che comincia dal Porto di Ripetta fino al Porto di Ripa Grande per esaminare se si possa rendere navigabile questo fiume fra i sud.i Porti…
Inoltre in questo esemplare dell’opera di Chiesa e Gambarini si trovano, senza far parte dell’edizione, due altre grandi piante, relative alle Chiane, delineate a mano e anch’esse di interesse storico-documentario notevole. La prima, in pergamena (89 x 59 cm), è a colori con cartigli e stemmi dorati e reca il titolo: Pianta e profilo dello stato dell’acque delle Chiane dal Ponte Valiano fin’ al Ponte di sotto, e di lì ai Muro grosso, riscontrata con quella fatta l’anni 1663, e 1664, e ridotta al pnte stato ne mesi Maggio e Giugno 1719 da noi Egidio Maria Bordoni Ing.e per la parte di S. S.ta Giovanni Franchi Ing.e per la parte di S. A. Re.
La seconda, cartacea (150 x 53 cm), anch’essa a colori, è intitolata Pianta delle Chiane da Valiano fino al Bastione detto al Campo alla Volta e di qui fino al muro Grosso tratta dalle piante fatte, e nel 1719 dal fu Sig.r Egidio Bordoni, e nel 1724 dalli Sig.ri Bonacursi, e Facci, ridotta ed accomodata al presente stato, ritrouato il mese di Febraro del corrente nno MDCCXLIV. (Ada Corongiu)
Luigi AMADEI
Progetto della deviazione del Tevere del generale Giuseppe Garibaldi compilato da Luigi Amadei... Napoli, Stabilimento Tipografico di Francesco Giannini, 1875 80, [6], 9, [1], 5 p. 28 cm
(coll. Vol. Misc. 2948.4)
La lunga teoria dei libri sulle inondazioni fin qui descritti ha dimostrato come il problema del Tevere, da tutti affrontato con passione e con l’intento di trovare soluzioni definitive, non fu, nella realtà dei fatti, mai risolto, nonostante il conclamato impegno di tanti papi e della amministrazione capitolina. La presentazione di questa opera dell’ingegner Amadei, (colonnello del Genio in ritiro, ex professore di meccanica applicata e ex consigliere municipale e provinciale di Roma) che rientra nel gran numero delle proposte mai realizzate, è tuttavia utile sia perchè essa illustra, su incarico di Garibaldi, il progetto di deviazione del Tevere ideato dal generale, sia perchè contiene anche la narrazione delle vicende politico-amministrative che precedettero l’avvio della tanto sognata soluzione del problema Tevere che avvenne secondo il progetto dell’ing. Raffaele Canevari, anch’esso illustrato nella pubblicazione.
Così la vicenda narrata dall’Amadei (p. 1 e segg.): “La straordinaria piena avvenuta nel 28 dicembre 1870, la quale sommerse gran parte di Roma, sollevò un grido universale pei molti danni che recò alla salute pubblica e agl’interessi della cittadinanza. Ed io stesso fui testimonio, quale uno dei Presidenti della Commissione di soccorso in quella luttuosa circostanza, dei danni e delle rovine cagionate alla città dell’inondazione, e segnatamente alla classe povera, che oltre gli assalti della miseria, dovette subire anche quelli più violenti della piena nei suoi meschini tuguri.” Questa calamità richiamò l’attenzione del Governo sulla infelice condizione in cui versava la capitale d’Italia; e si fece sentire l’urgenza di studiare l’importante questione del Tevere, cioè di liberare Roma dalle sue inondazioni. Il Governo nominò una Commissione d’ingegneri che “…dopo un anno di studi, emise un parere, dal quale dissentirono gli ingegneri Possenti e Armellini…”.
Insomma la Commissione approvò il progetto di Raffaele Canevari, ritenendolo forse più costoso, ma anche più sicuro di quello del Possenti. Dice l’Amadei che il progetto del Canevari “… si riassume in questo:
1° Nella costruzione di una platea a Ponte Milvio;
2° Nell’arginatura del Tevere, dai sassi di S. Giuliano alla città;
3° Nella costruzione dei muri di sponda nel tratto urbano;
4° Nel dare all’alveo la larghezza di 100 metri fra le sommità dei muri;
5° Nella soppressione di uno dei rami del Tevere all’Isola Tiberina;
6° Nell’aggiunta di una luce al Ponte S. Angelo, e nella demolizione del Ponte Rotto, da venire sostituito da un nuovo ponte;
7° Nella rimozione degli ostacoli esistenti nell’alveo;
8° Nella costruzione di due Collettori paralleli alle sponde;
9° Nell’arginamento della sponda sinistra fin sotto S. Paolo.
Che intanto si dia principio nei primi di aprile 1872 alla soppressione degli ostacoli che incontra il Tevere in Roma.”
Insomma, sia pur respinto, il progetto del Generale Garibaldi (che prevedeva la conduzione del Tevere, dalle vicinanze della confluenza con l’Aniene, all’esterno della città, fino a riallacciarsi poi, a metà fra S. Paolo e la foce, all’alveo naturale, mentre all’interno della città il fiume avrebbe continuato a seguire il suo corso ma in un alveo ristretto e rettificato) servì a far approvare finalmente l’inizio concreto dei lavori secondo il progetto di Canevari con una legge del luglio 1875. Questo ultimo progetto, a ben guardare, individuava le stesse cause, e proponeva, sia pure con conoscenze e mezzi tecnici enormemente progrediti, le stesse soluzioni già tante volte lette nelle numerose opere sulle inondazioni del Tevere qui esposte, e cioè “drizzagni, muraglioni”, ponti da distruggere o da allargare, lungofiume, deviazioni, canali, collettori, modifiche della situazione all’isola Tiberina. Abbiamo visto a proposito di quest’ultima che il progetto Canevari ne prevedeva, con l’eliminazione di un ramo del fiume, la distruzione, cosa che, per l’intervento di tanti archeologi e personaggi della cultura, non avvenne. E certo però che gli enormi lavori previsti dall’ingegnere richiedettero interventi energici e demolitori e che la bonifica delle sponde e l’allargamento dell’alveo comportarono certamente un grande cambiamento del paesaggio fluviale, così come il rifacimento di ponte Cestio, la quasi totale distruzione di Ponte Rotto, l’interramento del magnifico Porto di Ripetta, la creazione dei lungotevere etc. Ma è anche indubbio che il problema delle inondazioni del Tevere in città fu finalmente risolto, anche se con sacrificio di tante testimonianze storiche della Roma antica e di quella papalina. (Ada Corongiu)
Le immagini che illustrano l’editoriale sono tratte da F.M. Bonini Il Tevere incatenato… Roma, 1623 e da La Capitale, a. 6 (gen-giu 1875)